L’arte dell’attesa: sensibilità acuta o masochismo?

Mi sono sempre chiesta cosa si provi a saper aspettare, io che nella vita non so attendere neanche un autobus per dieci minuti. Mi sono chiesta come alcuni facciano ad attendere una persona per anni, mi sono chiesta quanto possa far male.

Ad essere del tutto onesta, non ho mai capito come star ferma. La vita mi è sempre parsa troppo breve per tenere le mani in mano, nell’attesa della felicità. Mi sono sempre data da fare per finire tutto quello che avevo iniziato: un libro, l’università, un anno di palestra (questo è stato davvero duro, al confronto la triennale in chimica è una passeggiata). E mi stava bene tutto, anche perdere chi non sapeva apprezzarmi per tornare mesi dopo a dirmi di aver sbagliato. Ho chiuso la porta perché no, io non so aspettare. Sono per il tutto e subito, e forse nemmeno questo è così corretto.

Avevo un amico, un tempo. Era uno di quelli che nell’amore ci credeva, aveva la speranza che i pezzi scombinati del puzzle a comporlo potessero magicamente ritrovarsi incastrati, accanto alla persona giusta. Era un artista vero, oltre che dell’attesa. Uno di quelli che piuttosto si strapperebbe l’anima, anziché lasciare andare ciò che crede possa renderlo felice. Uno di quelli che non ci pensa affatto che quella felicità potrebbe non raggiungerlo mai. Eppure ogni giorno è una spina conficcata nel petto, fino a che ciò che abbiamo dietro lo sterno non ha più la sua forma. Avrei voluto domandargli:

Com’è avere un cactus al posto del cuore?

Ma non l’ho fatto, perché un altro piccolo aghetto avrebbe fatto sanguinare il muscolo pulsante che ci tiene in vita e il suo aveva già creato una pozza troppo densa.

Allora chi sbaglia? Forse entrambi, forse nessuno, forse esiste una via di mezzo: probabilmente non dovremmo né aspettare, né chiudere. Dovremmo lottare e imparare anche a saper perdere. Lasciare andare può far più male che restare ancorati alla stessa idea per anni, ma quant’è sano soffrire per sempre?

Non sono nemmeno sicura che esista una vera risposta al mio dilemma. Gustave Flaubert diceva:

Occorre aspettare quando si è disperati, e procedere quando si aspetta.

In pratica, afferma di non dover aspettare passivamente, ma comunque andare avanti con la consapevolezza che quello che cerchiamo e sembra la nostra felicità potremmo non raggiungerla mai.

E se ci fosse qualcosa di meglio? Se ci fosse qualcosa di ancora migliore dell’idea che ci siamo fatti, costruendo i nostri immaginari castelli, ma della quale non siamo a conoscenza? In un certo senso, Flaubert ha ragione: potremmo andare avanti, scoprire se ci attende altro e, in quel caso, ridere delle idee passate.

È che a volte restiamo così ancorati a una speranza che rifiutiamo a prescindere qualsiasi cosa non si avvicini a essa.

Ecco, più che “saper aspettare” credo bisogni “saperci provare“. Impegnarsi al meglio per raggiungere la carriera sognata, dire a quella persona che la si ama, nonostante sia andata male e potrebbe finire addirittura peggio; talvolta, gettare via l’orgoglio. Nuovamente, sto parlando di una via di mezzo e della possibilità di mollare dopo infiniti tentativi. Non esiste una sola fonte di felicità, in questo mondo così vario.

L’attesa, anche se considerata una vera arte, non basta. Ha senso solo se messa accanto al coraggio di osare, di lottare e la voglia di stare bene. Perché, se proprio dobbiamo aspettare, è meglio farlo in vista di qualcosa che ci renda davvero persone felici e il mondo ha bisogno di questo, il Piccolo Principe sarebbe d’accordo con me.

Allora si arriva ad un altro punto. Dopo il saper lottare e il sapere attendere la nostra lunga lotta, c’è il saper abbandonare. Perché credo che, a volte, anche se fa paura abbandonare un’idea (mia nonna diceva sempre: chi lascia la strada vecchia per la nuova, sa cosa lascia, ma non sa quello che trova), attenderla anche dopo aver tentato con tutte le nostre forze fa ancora più male. Un rimorso è meglio di un rimpianto, no?

In definitiva, credo davvero che la pazienza sia una virtù (anche se ne posseggo ben poca), ma sono anche dell’idea che attendere senza tentare sia deleterio e attendere troppo dopo aver tentato è puro masochismo. Tutto ha più sfumature e il coraggio di saper scoprire cos’altro di bello c’è dopo può avere un profumo ancora più dolce. Insomma, nuovamente una via di mezzo.

In medio stat virtus, dicevano i latini. Ed è proprio così.

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