A cura di Jessica Martino
Gli indifferenti, un libro che avrebbe potuto avere dozzine di altri titoli: gli immobili, gli inerti, gli inermi, o come altri titoli utilizzati da Moravia per altri romanzi, la noia, il disprezzo, ma pure la vita interiore, e sarebbero stati comunque giusti.
I protagonisti di questa storia sono Carla e Michele, due giovani fratelli della borghesia romana. Entrambi hanno un forte desiderio di cambiamento, eppure entrambi, in modo diverso, restano lì, immobili, incapaci di agire: Carla sperando che sia un uomo a cambiargliela, Leo, amante di sua madre, uomo veniale, adepto del dio denaro, mosso solo dall’egoismo del tornaconto personale; Michele, invece, è ingabbiato nella sua mente, ricca di slanci luminosi, di morale, di virtù, affetta dal morbo del disprezzo che vede intorno e per questo malata, ma il cambiamento resta un pensiero senza mai tramutarsi in azione.
I due fratelli, per difendersi dalla mancanza di una forza dinamica che sappia tradurre i pensieri in azione, mirano una alla distruzione e l’altro all’indifferenza.
“Guardava quella faccia dell’uomo, là, tesa verso la sua: “Finirla”, pensava “rovinare tutto…” e le girava la testa come a chi si prepara a gettarsi a capofitto nel vuoto.”
“Bisogna andare fino in fondo… fino in fondo alla distruzione.”
Questi i pensieri ricorrenti in Carla, pronta a fuggire da una vita che non riesce a cambiare, distruggendola e distruggendosi.
“E io dove vado?” si domandò ancora; […] “cosa sono? perché non correre, non affrettarmi come tutta questa gente? perché non essere un uomo istintivo, sincero? perché non aver fede?”. L’angoscia l’opprimeva: avrebbe voluto fermare uno di quei passanti, prenderlo per il bavero, domandargli dove andasse, perché corresse a quel modo; avrebbe voluto avere uno scopo qualsiasi, anche ingannevole, e non scalpicciare così, di strada in strada, fra la gente che ne aveva uno. “Dove vado?”
“Io non so fingere… e allora, capisci, a forza di sentimenti, di gesti, di parole, di pensieri falsi, la mia vita diventa tutta una commedia mancata… Io non posso fingere… capisci?”
Perché é un romanzo da leggere in questi giorni fatti di ore ferme, di staticità forzata? Perché Gli indifferenti è un monito all’azione, al dinamismo, al cambiamento. Perché in queste ore ferme, possiamo far viaggiare la vita interiore, piantare i semi del cambiamento che avremmo sempre voluto attuare e non abbiamo fatto, sballottolati qua e là, come le pazze palle di un flipper da una vita che non si ferma e dalla mancanza di coraggio.
Leggere questo romanzo è come stare in apnea, vedere Carla, vedere Michele e vedere noi stessi e allora calci, pugni, dimenarsi per salire, respirare, e nuotare, con braccia dure e ostinante, nel verso opposto alla corrente, per raggiungere chi siamo e il nostro posto nel mondo.
Perché seppur bello, introspettivo e raccontato dalla già sapiente penna di un Moravia poco più che ventenne, non siamo fatti per essere dei personaggi chiusi in un libro, destinati a subire passivamente il corso di vita che non sentiamo nostro, ad assecondarlo, fino a diventare colpevoli, aguzzini e i nostri stessi carcerieri.
Gli indifferenti è il primo romanzo scritto e auto pubblicato da Moravia nel 1929 alla tenera età di ventidue anni. Sbalorditivo come un ragazzo così giovane abbia avuto l’accortezza e la profondità di tratteggiare le dinamiche di una certa società borghese negli anni del fascismo, e trattare con grande vena introspettiva le dinamiche interiori dei personaggi fino a fare di questo libro un classico della letteratura Italiana.
Moravia, riguardo al romanzo, disse: «Essendo nato e facendo parte di una società borghese ed essendo allora borghese io stesso, “Gli indifferenti” furono tutt’al più un modo per farmi rendere conto di questa mia condizione. […] Che poi sia risultato un libro antiborghese è tutta un’altra faccenda. La colpa o il merito è soprattutto della borghesia.»
Una realtà a lui conosciuta, quindi, e per questo ancor più difficile da delineare, come lui ha fatto, in modo oculare. Perché quando ci si sta dentro è difficile vederle, le cose. È da fuori che non ci sono muri né limiti a disturbare la vista.
E allora, muoverci, ma senza l’affanno della corsa, avendo ben in mente la meta, l’obiettivo da raggiungere.
Abbiamo una decade per far di noi, bracciata, dopo bracciata, quello che vogliamo.
Iniziamo ora.
Una descrizione affascinante, da stimolo alla lettura di questo romanzo descritto in un modo ineccepibile.
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