Erdogan va fermato prima che sia troppo tardi. Il mondo occidentale ha più di un debito con la storia.


La storia è ciò che accade, mentre siamo impegnati a guardare dall’altra parte.”


Anno 1453, il mondo occidentale tutto, fatta eccezione per poche navi giunte da Genova e Venezia, assiste inerme alla caduta di uno dei simboli e baluardi della romanità e cristianità, l’impero Romano d’Oriente, nella sua capitale Costantinopoli.

Quando la studi a scuola, la storia, vuoi l’età, vuoi professori non all’altezza, non riesci ad appassionarti tanto da cogliere l’importanza di alcuni eventi, che hanno inevitabilmente cambiato ed influenzato il mondo in cui viviamo oggi. E nonostante ciò, non siamo ancora in grado d’imparare dai nostri errori.

L’anno 1453 segna la fine di un impero, la nascita di un altro. L’impero Ottomano che conquista quello bizantino. I Turchi musulmani di Maometto II che assediano Costantinopoli, la conquistano, uccidono barbaramente i civili, catturano donne e bambini, che la storiografia ci dirà poi esser stati violentati ed impalati. Distruggono chiese, bruciano libri, devastano opere simbolo del mondo cristiano. Senza alcuna diplomazia il loro intento è chiaro: cancellare ogni traccia di vita precedente dentro quelle mura. E l’occidente tutto lascia fare, inerme, sottovalutando un nemico che avrà poi tutta la forza e l’ardore di minacciare un intero continente per più di 200 anni, ridimensionando le proprie mire solo dopo la sconfitta nella battaglia navale di Lepanto nel 1571, e dopo la disfatta a Vienna nel 1683. Vittorie, queste ultime, che ebbero un profondo significato per la cristianità tutta e per il mondo occidentale, ma che sarebbero potute capitolare ben diversamente.

Ora, non voglio tediarvi con una lunga lezione di storia, né voglio aprire un discorso storico-religioso, chi scrive è tra l’altro ateo. Ma, come teorizzava il filosofo napoletano Giambattista Vico, la storia è un ripetersi di corsi e ricorsi. L’uomo è sempre uguale a se stesso, per quanto possano variare scenari storici e politici.

È così che, al riparo dalle attenzioni del resto del mondo, impegnato in quella che verrà ricordata poi come “La Grande Guerra”, l’ancor giovane governo Turco, non più impero Ottomano, compie uno dei più gravi e grandi genocidi della storia, vittima del quale, il popolo armeno, di fede cristiana. 1.500.000 persone uccise, e già di per sé il numero fa impressione, ancor più se si considera che l’attuale intera popolazione dell’Armenia è di appena il doppio.

Oggi, a distanza di 100 anni, stiamo assistendo ad un altro sterminio. Vittima del quale, il popolo Curdo della Siria del Nord, che per anni ha lottato per il sacrosanto diritto di vivere in pace nella terra natia, minacciata dal terrorismo. Mentre noi, nella nostra quotidianità, commentavamo le atrocità dell’Isis, ignoravamo che c’era questo popolo che lo combatteva, lottava e dava la vita, garantendo anche la nostra tranquillità. E adesso i Curdi si trovano dinanzi un nemico assai più pericoloso, uno intero Stato “sovrano”, un crudele dittatore, un esercito che non ha alcuna giustificazione per le turpi azioni che sta compiendo, e che nell’ignavia generale di Organizzazioni internazionali, Confederazioni di Stati, e grandi potenze senza alcuna spina dorsale, ha iniziato questo genocidio.

Non mi preme analizzare le ragioni politiche alla base dell’immobilità generale, anche perché nessuna ragione troverebbe sufficiente giustificazione. E perché sappiamo bene tutti che alla base vi è sempre il dio denaro. D’altronde è facile condannare, biasimare e minacciare il dittatore della lontana Corea del Nord, chiuso nella sua caverna di Platone, senza alcuna relazione commerciale col resto del mondo. Ma quando a compiere determinate azioni è un tuo partner commerciale, allora ti limiti a far la voce grossa alla stampa, a parlare di dazi o sanzioni minime, a nominare persino Napoleone Bonaparte (Trump l’ha fatto sul serio), o ad annunciare che il tuo governo non venderà più armi ai turchi (peccato che l’Italia continuerà a farlo finché saranno in essere i contratti attuali). Ma nessuno, nessuno ancora interviene in modo efficace. E ho seri dubbi che possa bastare un “cessate il fuoco”, che ha più il sapore di ultimatum ai Curdi, invitati a lasciare la propria terra, per non subire ulteriori e peggiori rappresaglie. Ma la “mediazione” di Trump non ha ottenuto di meglio, uno che davanti a tale tragedia dice “Turchi e Crudi sono come due bambini”. E del massacro finora compiuto, noi, io che scrivo e voi che leggete, siamo in parte colpevoli, non abbiamo la giustificazione storica che avevano nel 1453 o nel 1914. Noi sappiamo già ora, noi vediamo, noi leggiamo. E siamo colpevoli del silenzio assordante che giustifica le barbarie di Erdogan.

Il mondo occidentale è colpevole e lo è da un po’, da quando ha scelto di rendersi cieco ad un sovrano totalitario, un sanguinario dittatore, che da anni guida il suo Stato con “pieni poteri”, che alcuni addirittura volevano nell’UE, e col quale troppi fanno affari.

L’occidente è colpevole. Nel suo immobilismo, nel proporre soluzioni che hanno il sapore di un semplice palliativo, e che comunque tarda a mettere in campo. Nessuna sanzione al momento ancora comminata alla Turchia.

E Sono così colpevoli anche le squadre di calcio che non prendono provvedimenti verso i loro tesserati, che offendono l’etica, l’onore e il rispetto di chi tifa e segue lo sport, appoggiando Erdogan. Sono colpevoli i calciatori della nazionale Turca che fanno il saluto militare a fine gara. Demiral della Juventus, Under della Roma, Calhanoglu del Milan, il cui gesto fa rumore, e non trova in me giustificazione alcuna, sia esso volontario o meno. Anche perchè chi di loro ha reiterato tale gesto, ed ha anche, tramite i propri social network, sostenuto le azioni di Erdogan, non può poi nascondersi dietro la scusante dell’imposizione. Per cui sì, il regno del terrore di Erdogan ha già dato prova di mancare di ogni forma di tolleranza verso chi esprime opinione contraria, e vien da pensare che gran parte di questi sportivi non hanno gran scelta, che il loro gesto, appunto, potrebbe non essere volontario. Un appoggio non spontaneo, ma imposto, specialmente quando indossano la maglia della nazionale. Ma non basta a giustificare tutto ciò. La storia non dimentica e non perdona. La storia elogia Bruno Neri, che da partigiano, il 10 settembre 1931 si rifiutò di fare il saluto fascista, prima della partita inaugurale del nuovo stadio della sua Fiorentina. I calciatori turchi ed il loro gesto, meritano invece l’oblio.

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Ed in questo scenario non si può non lodare Enes Kanter, cestista dei Boston Celtics, ex turco e oggi apolide. Lui e la sua famiglia hanno pagato per il suo coraggio di opporsi al regime. Il padre costretto a ripudiarlo e finito comunque in carcere. Lui condannato da una nazione che oggi lo rinnega, e costretto a restare entro i confini statunitensi, temendo per la propria vita, oltre che per la propria libertà. Quest’uomo ha la mia ammirazione, ed il suo coraggio non fa altro che imbarazzare ulteriormente quei calciatori, senza dignità, senza pudore, quei club troppo interessati al denaro per prendere provvedimenti, e la Uefa, che ancora dibatte sulla necessità o meno di spostare la finale di Champions League del 2020, prevista ad Istanbul.

Ma mentre io scrivo, mentre voi leggete, mentre noi tutti coviamo rabbia per tutto ciò, persone continuano a morire, civili continuano a morire. Le guerrigliere curde, passate alla ribalta tempo fa per la loro forza, la loro determinazione, e la loro bellezza che va ben oltre il viso curato e la folta chioma, continuano a morire. Persone come Hevrin Khalaf, uccisa perché le sue lotte e le sue idee erano troppo belle per non farne una martire.

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La storia non è soggettiva, non si presta ad interpretazione. E la storia, non ci perdonerà ancora l’assistere indifferenti alla cattiveria di un folle tiranno. Altrimenti ditemi che senso ha studiare lo sterminio dei cristiani a Costantinopoli, il genocidio degli armeni e l’Olocausto, se poi non alziamo un solo dito mentre un altro eccidio si compie?

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